Wednesday, September 06, 2006

Unica soluzione: il sonno(PaolAlda-AlPostMio)


Noia: Quelle giornate in attesa di qualcosa scivolavano via incredibilmente noiose e senza senso. Senza un senso preciso, ciondolava per casa al ritmo di vecchi lenti da grammofono, portando il tempo con lo strisciare delle sue pantofole rosa shocking.
Non aveva nulla da fare; e lo sapeva bene; e viveva con la consapevolezza che quella situazione si sarebbe protratta per un bel po’ di tempo: almeno un’altra mesata.
Pantofole strascicanti rosa shocking, lenti da grammofono, pioggia in perenne fase d’attacco, freddo invernale stile “gennaio inoltrato tendente a febbraio”…insomma, una bella merdaccia.
[NdA: Impossibile rendere la sensazione in un altro modo: per l’accostamento “rd” e il suffisso “accia”, unita alla cadenza della parola stessa, “merdaccia” è il termine giusto. Astenersi, dunque, deboli di cuore e/o di spirito]
Tutto ciò che fino a poco tempo prima pareva un’accettabile occupazione, era stato liquidato in un pomeriggio, fino a formare, nella sua mente, un’alta catasta di oggetti anneriti dal fumo di un incendio omicida.
Fissava e fissava la piramidale e puntuta pira di oggetti, sperando di poterne riciclare qualcuno che, a differenza degli altri, fosse bruciacchiato solo a metà.
Immaginava la pira in una radura di montagna, con l’erba verde e le vette eburnee in contrasto con il nero strinato.
Ed eccola. All’improvviso, nel punto di congiungimento di due vette, il sole preannunciava la sua illuminazione.
Come un raggio di sole che si propaga fino a lambire il limitare della sua figura umana, così venne Hypnos, volando, con la veste di cielo stellato profumata di notte.
Turbinava Hypnos, con le sue stelle luminose, e sorrideva, man mano chiudendo il cerchio e avvicinandosi. Le sfiorò le labbra, braccandola con il suo manto di stelle fulgenti. La pira non esisteva più.
Persuasione, e tra voluttuosi baci e carezze, le donò una meravigliosa ottomana di pregiata stoffa color rubino, con fronzoli dorati e base in legno color miele.
Soluzione: il sonno.
Rifugiarsi in un mondo vano, illusorio, e dimenticare la merdaccia all’esterno.
L’ottomana, pregiata, bella, reclamava di essere usata.
Vi si abbandonò senza preoccupazioni con Hypnos che la guardava addormentarsi beatamente sul giaciglio cremisino.
E in un momento il bel giovane dalle labbra morbide e le vesti color cielo stellato non c’era più.
Eccola attraversare un viale alberato coperto da un tappeto vermiglio e da una cupola di verdi salici. Era in discesa, una ripida discesa, in cui tutto quello che si sentiva era solo il vento fresco e il profumo umido del sottobosco.
Si ritrovò mano nella mano con una persona mai vista, che però conosceva. La conosceva tanto bene che gli sguardi, i sorrisi sottolineavano innata intesa, umano calore, inusuale fiducia.
Incontrarono poi un muro di cinta bianco brillante, color del sale e un uomo alle loro spalle. Paura traspariva dai loro sguardi di intesa.
Le loro gambe cominciarono a muoversi più in fretta e le loro mani si separavano, per permetter loro di correre più velocemente.
E lei correva, le guance rosse, il fiato corto, le orecchie ululanti.
Era tranquilla, però. Invitò l’altra persona a scavalcare il muro di cinta vincolo color sale e prima di finire la frase, voltandosi, si accorse di averlo fatto.
Chiamo l’altra figura. Non ricevette risposta.
Cominciò a camminare per le viuzze intricate bianche come lo erano i muri di cinta.
Era tranquilla lì dentro, come lo era stata fuori.
Fece il suo terzo incontro.
Gnomi. Strano, ma erano proprio gnomi. Col cappuccio rosso e le casacche blu. Semplici gnomi con gli occhi grandi color castagna.
Sapevano tutto di lei. Non ci fu bisogno che pronunciasse parola, che subito la portarono dal suo compagno di viaggio. Il ricongiungimento fu piacevole. Decisero, perciò, di proseguire il viaggio. Provviste era ciò che serviva loro. E provviste ebbero. Fagioli bianchi e marmellata in quantità dalle scorte degli gnomi.
Sogno, sogno, sogno. Si destò. Hypnos era ancora l’ vicino. Studiava movimenti di lei, le sue reazioni, il grado del suo godimenti. La baciò ancora una volta, donandole una stazione e una viola bianca.
Cominciò a suonarla e il suono ronzante dell’arco sulle corde pervase tutta la struttura. Si guardò i piedi. Le banchine, che strane, erano tutte cosparse di bianco sale.
Mentre suonava provava non solo il piacere di carezzare le corde con l’arco e di produrre il suono, ma anche quello di affondare il punteruolo alla base della viola dentro a quel pavimento bianco e insolito. Ando avanti così, per tutta la durata del sogno, finchè non prese il treno e conobbe, finalmente, la sua destinazione: gara musicale.
Ancora una volta aprì gli occhi e il manto stellato di Hypnos era sopra di lei. L’abbraccio rassicurante del dio greco le carezze sul suo viso e sulle palpebre, indussero pesantezza ai suoi occhi. Cadde ancora nell’altro mondo, quello dell’illusione, quello del nonsense.
Effetto fotografico color seppia, ecco cosa le sembrava quel paesaggio che aveva davanti agli occhi: una vecchia fotografia.
Il soggetto della suddetta: una casa. Con tanto di cancellata ferrea e giardino spoglio. Una casa a tre piani. All’interno ? Non lo sapeva. Non riusciva ad avvicinarsi. Il cielo si fece nuvoloso, vide le fiamme dell’incendio divampare e una donna, con un fazzoletto sul capo, sbracciarsi alla finestra in cerca di aiuto. La casa andava carbonizzandosi pian piano. E la donna e le figlie, inermi, tratte in salvo, la guardavano accartocciarsi. Davanti alla cancellata e all’entrata: un corteo funebre di donne gementi per il dolore della perdita. Sulle spalle degli uomini della Confraternita della Buona Morte, il feretro. Pianto. All’interno. Radio accesa. Poltrone rivestite con raso purpureo e arabeschi color dell’oro. Dietro, una credenza lignea con servizi cristallini e suppellettili d’oro e d’argento. La casa in festa. La donna, contenta ma austera, si stagliava nel mezzo della stanza. Una delle figlie era presente.
Il paese in festa per il ritorno del cantante. Bussò alla porta, la figlia felice di riabbracciare il padre, un uomo con i capelli neri e compatti per la brillantina, il volto disteso, l’abito color carta da zucchero. L’altra figlia, assente. Non voleva seguire le orme del padre, era la pecora nera della famiglia: la madre se la pendeva sempre con lei per il suo atteggiamento. Il cantante, tornato a casa, aveva regali per tutta la sua famiglia, dopo la lunga tourneè europea.
Hypnos le sfiorava la schiena, le infondeva tranquillità. Si era immedesimata in una delle due figlie? La famiglia si era accorta della sua presenza ? Domande razionali per una mente razionale. Razionalità, nemica di Hypnos, il quale, pur essendo un attimo risentito, fece di tutto per donarle altre emozioni.
I movimenti sinuosi della sua mano sulla schiena di lei furono l’ultima cosa che lei riuscì a percepire prima di trovarsi in quella cittadina dai tetti a punta e dalle tegole color ebano, le strade di porfido erano tortuose ma tranquillizzanti; il cielo notturno era tranquillizzante. Compagna di viaggio, questa volta, una lei dai capelli biondi e le labbra rosse. Svolazzavano per quelle strade, illuminate da alti lampioni, le loro gonne a fiori lunghe al ginocchio.
Ridevano, immerse nella folla, nel bagno di gente che affollava le vie intorno alla piazza.
La luce gialla dei lampioni, le inferriate di ferro battuto dei balconi. Tutto ciò le ispirava contentezza. Ridevano, ridevano, non facevano altro le due amiche per le vie di quella cittadina. E poi, ritrovarsi catapultate davanti ad un chalet di montagna, su morbidi divani coi cuscini bianchi e delle pensiline di gerani rosa e rossi. Lo scopo: un assaggio di cioccolata offerta dalla signora dello chalet. Le labbra si appoggiarono sulla tazza di ceramica decorata con fiori rossi, e lambirono il liquido che profumava di nocciola e di caldo.
Sveglia. Ancora una volta guardò Hypnos, pregandolo di darle ancora qualcosa. Hypnos, contento, constatò che aveva ottenuto ciò che voleva. Le piacevano i suoi dolci sogni, le strane avventure da lui fornitele: aveva trovato una cliente.
Sogno insolito, quello che le propose. Un sogno i cui protagonisti erano loro due. Si sedettero sulla ottomana, si guardarono negli occhi, si presero per mano. Giocavano ad inventare nuovi accostamenti odore – sapore – colore.
Giocavano a provare gli effetti dei loro prodotti. Giocavano. E la merdaccia là fuori ? Poca importanza aveva se Hypnos poteva essere compagno di giochi.
Agitando la sua veste luccicante e nera come la notte, il dio dava vita a quelle sensazioni che lei voleva provare.
Le montagne dove lei aveva incontrato Hypnos sparirono, sostituite da uno sfondo evanescente, un misto di odori – sapori – colori che venivano man mano fuori dalle vesti del dio.
Si abbandonava completamente a quei momenti di piacere, senza chiedersi perché o se fosse giusto.
A Hypnos quegli slanci di lucidità non andavano a genio. Corrompeva la mente di lei con delle sensazioni, in cambio della sua lucidità.
Per evitare di farle pensare se quello sfuggire dalla merdaccia reale fosse giusto.
http://paolalda.deviantart.com/

2 comments:

mpotto said...

Grande PaolAlda!!!

Anonymous said...

bello ma forse troppo lungo per un blog, oppure no?
Bella anche la cosa del post ospitato ma perchè?
Forse partecipo anche io.
Gingi